La Basilica paleocristiana di San Vitale, Valeria, Gervasio e Protasio in Fovea conosciuta più comunemente come Basilica Parrocchiale dei Santi Vitale e Compagni Martiri in Fovea o più semplicemente come San Vitale è luogo di culto cattolico del centro storico di Roma, situato in Via Nazionale.
La Basilica di San Vitale è una Chiesa di epoca Imperiale risalente al IV secolo dedicata originariamente ai Santi Gervasio e Protasio, due giovani fratelli gemelli soldati martiri di origini milanesi, figli di San Vitale, anch’Egli soldato consolare e marito di Santa Valeria. Durante l’impero di Onorio, il primo dell’impero romano d’Occidente, sotto il pontificato di Papa San Siricio per onorare il ritrovamento miracoloso ad opera di Sant’Ambrogio dei corpi dei Santi Gervasio e Protasio, nel 386, la pia matrona Vestina lascia tutti i suoi averi all’Oratorio a loro dedicato, che verrà ristrutturato in Basilica a tre navate senza pareti e consacrata da Papa Innocenzo I nel 402, per evangelizzare il popolo romano della Suburra. Le caratteristiche architettoniche della Basilica imperiale di San Vitale è data da un gran numero di colonne (ancora visibili esternamente) che sorreggevano un tetto a capriate e una pianta con una navata centrale, fiancheggiata su ogni lato da un corridoio stretto, sempre porticato. La sostituzione di diversi muri con le colonne fece di questo ambienti una sorta di ‘open spaces’, anticamente aperto all’esterno, come un padiglione riccamente coperto e adorno ma senza pareti. Preti del Titulus Vestinae sottoscrivono gli atti del Sinodo romano del 499, mentre nella sottoscrizione del Sinodo del 595 compare l’appellativo Titulus Sancti Vitalis. Fu restaurata e dotata di ricchi doni da Papa Leone III (795 – 816), nuovamente restaurata in epoca medievale, e completamente rifatta dai Pontefici Sisto IV (1475) e Clemente VIII (1595): quest’ultimi interventi ridussero la Chiesa a una sola navata, al posto delle tre originarie, e portarono alla scomparsa del portico, chiuso e ridotto a vestibolo della Chiesa. Nel 1859 il Beato Pio IX fece costruire la caratteristica scalinata d’accesso che è in discesa a causa dell’innalzamento del piano stradale in seguito alla costruzione di Via Nazionale. Lavori di restauro effettuati nel 1937-38 hanno ripristinato il portico originario. Il Titolo cardinalizio, sospeso nel 1595, fu restaurato da Papa Leone XIII nel 1880, e lo stesso Pontefice eresse la Basilica in Parrocchia romana nel 1884.
La facciata presenta un portico, dell’epoca paleocristiana, a cinque arcate su colonne con capitelli del V secolo, a cui in passato ne corrispondevano altre cinque nella facciata, oggi murate. Il portale d’ingresso presenta un’iscrizione e lo stemma di Sisto IV, e preziosi battenti lignei scolpiti agli inizi del XVI secolo. L’interno è a una sola navata con abside è stato restaurato nel 1859, mentre sono di epoca recente (1934) il pavimento ed il soffitto ligneo irrealizzato su progetto dell’architetto Ezio Garroni. Ai lati vi sono quattro Altari, due per lato, provenienti dalla Chiesa del V secolo. Nel transetto vi sono affreschi di Agostino Ciampelli raffiguranti la lapidazione ed il martirio di San Vitale. Altri affreschi, raffiguranti storie di Martiri e Profeti sono di Tarquinio Ligustri ed Andrea Commodi. Fino al 2012, sulla cantoria posta a ridosso della controfacciata ha trovato luogo un organo a canne costruito nel 1931 dai Fratelli Schimicci che è stato rubato.
Ciclo iconografico della Basilica di San Vitale
Il ciclo iconografico di San Vitale è composto da statue, quadri e affreschi. Siamo perciò di fronte a quattro sistemi diversi di rappresentazione, a quattro livelli tematici. Nella navata emerge dapprima con forza l’apparato scenografico di tipo architettonico, rappresentato sulle pareti con il sistema dei quattro altari, dopo l’apparato decorativo geometrico e floreale che riempie gli spazi e fa da sfondo, successivamente tutto ciò che è rappresentato nei riquadri e nelle nicchie; infine le rappresentazioni del presbiterio, dell’esedra e del catino absidale. Questi ultimi due livelli tematici sono quelli più significativi, sia sotto il profilo artistico che a livello catechetico e ideologico.
L’apparato decorativo: Il sistema dell’apparato decorativo è fatto di forme geometriche intagliate nei marmi dipinti, di riquadri e di immagini naturalistiche. Questo sistema in un certo senso potrebbe apparire quello meno importante, poiché esiguo rispetto alle altre immagini, ma soprattutto perché interviene come riempitivo degli spazi di transizione tra i temi narrati e gli fa da sfondo, uno sfondo molto ricco, in linea con il gusto dell’epoca in cui è stato concepito.
Al di là della raffigurazione dei marmi policromi vediamo che spesso è ripetuta la rappresentazione di foglie di palma, rimando per eccellenza al tema martirio, principalmente nei riquadri del controsoffitto ligneo, viene continuamente dipinta tra le mani dei nostri Personaggi, per essere infine più chiara ed incisiva sui setti murari di transizione tra navata e presbiterio, dove in alto ne vediamo chiaramente due affiancate con una corona sovrapposta. Ecco il motivo per cui questa immagine delle palme incoronate è l’eco della dedicazione piena della basilica ai Martiri, il simbolo dell’incoronazione del martirio.
L’apparato architettonico: L’apparato iconografico architettonico è rappresentato dagli affreschi sulle pareti e dagli altari laterali, che si presentano come una scenografia. Poste su un podio elevato delle gigantesche colonne binate, con capitello pseudo ionico, dipinte in marmi policromi, tutte diverse l’una dall’altra, a simboleggiare una ipotetica provenienza del materiale dallo spoglio di altri edifici, ed una la trabeazione sovrastante che si pone al margine del controsoffitto ligneo; tra gli intercolumni sono compresi in basso dei riquadri e in alto delle nicchie, inserite in un altro ordine architettonico. Tutto questo apparato è opera di Annibale Priori che lo concepisce secondo le più audaci formule illusionistiche e prospettiche, che erano tipiche dell’epoca barocca.
Il colonnato non è altro che la rappresentazione della memoria dell’edificio paleocristiano, diviso in tre navate, per cui questa immagine invita al passaggio ideale verso gli spazi laterali, quelli appunto aperti tra le colonne. Ovviamente questa è una rappresentazione fantasiosa, poiché il colonnato del IV sec. non aveva di certo quelle dimensioni, le colonne con tutta la trabeazione dovevano innalzarsi da terra fino a tre quarti dalla parete e non esisteva il basamento. Ma questo è un gioco illusionistico, finalizzato a porre l’enfasi sul tema della partecipazione del mondo esterno con quello interno, e viceversa, in un rimbalzo continuo di visuali, cosa che accade osservando le pareti per intero, fatto proprio per commuovere l’osservatore e generare in sé la domanda della relazione tra la coscienza individuale e il cosmo.
I quattro Altari laterali sono quelli della Chiesa del IV sec. traslati nell’attuale posizione, con piccoli rimaneggiamenti, a seguito degli interventi sistini. Del Flammeri sono i quadri presenti in tre altari.
FLAMMERI (Fiamiero, Flamerius), Giovan Battista (Battista di Benedetto, Battista di Benedetto dell’Ammannato). – Nacque a Firenze all’inizio del quinto decennio del sec. XVI e morì a Roma, al Collegio Romano, il 23 agosto 1617. Uomo di grande spiritualità e mitezza, il 3 marzo 1576 fu ammesso al noviziato gesuita di Sant’Andrea al Quirinale a Roma come coadiutore temporale, fratello laico (non diventerà Sacerdote, rimanendo sempre nello stato laicale) destinato l’attività artistiche; apprezzato, amato e ricercato per le sue doti di pittore e scultore, seguirà e dirigerà tutto il ciclo pittorico di San Vitale in quanto Basilica del noviziato degli stessi Gesuiti di cui la Cappella di Sant’Andrea faceva parte.
Sul primo Altare in fondo destra la tela dove è raffigurato “Il Trionfo della verginità e del martirio”, sull’architrave si legge: “Adducentur Regi Virgines post Eam” … “Sono condotte al Re le Vergini compagne della Sposa”.
Nell’Esercito delle fanciulle il Flammeri decide la selezione di donne che potessero essere di ispirazione a tutta la Compagnia di Gesù ed in particolare ai novizi dell’Ordine che incominciavano ad essere istruiti sulla Religione. Tra queste le Sante Martiri del Canone Romano: Santa Felicita (01), Santa Perpetua (02), Sant’Agata (05), Santa Lucia (14: con gli occhi nel piatto), Sant’Agnese (07: con un agnello tra le braccia), Santa Cecilia (16), Sant’Anastasia (15), poi le grandi Martiri: Santa Caterina di Alessandria (10: con qui presentata nel simbolico atto di vittoria sugli strumenti di supplizio: spada e legno della ruota dentata sotto i piedi, Sant’Ursula (03: con lo stendardo in mano), Santa Barbara (13: con la Torre tra le braccia), poi le Sante Martiri il cui culto era vicino alla Basilica di San Vitale: Santa Pudenziana (04), Santa Bibiana (06), Santa Prassede (09), e poi le Sante dei grandi Ordini religiosi: Santa Scolastica (08: Benedettini, sorella di San Benedetto da Norcia), Santa Caterina da Siena (11: Domenicana), Santa Chiara di Assisi (12: seguace di San Francesco di Assisi e fondatrice delle Clarisse rappresentata con in mano l’ostensorio).
Sul secondo Altare a destra la tela dove è raffigurata della Vergine Maria Immacolata, sull’architrave si legge “Vas admirabile opus Excelsi” … “Vaso ammirevole di grazia opera dell’Eccelso”, Maria Immacolata, sorretta dagli Angeli in una mandorla di gloria; è stupefacente la somiglianza dell’immagine con la miracolosa icona della Madonna di Guadalupe in Messico realizzata, misteriosamente, nel 1531. Non sappiamo se Flammeri, seppur fu religioso e missionario, vide di persona la miracolosa Immagine, però e da supporre che ebbe contatti con i missionari che tornando a Roma descrissero o riportarono le prime copie della venerabile Immagine da far vedere al Papa e a tutta la Curia. Il Flammeri la propone nelle fattezze del miracoloso manto messicano a San Vitale, riproducendone gli identici i particolari come la mandorla di luce e la testa di angelo nella vistosa mezzaluna tipica dell’Immacolata guadalupana colloca poi nella zona inferiore i più tradizionali emblemi della Vergine, come la rosa senza spine, specchio di perfezione, orto chiuso, la torre di Davide, porta del Cielo, stella del mattino, fonte sigillata.
Ad esso si riferisce anche il brano dei Proverbi declamato dal Re Salomone, raffigurato nella nicchia sovrastante, mentre al martirio allude il passo dei Salmi presentato dal Re Davide nella parte opposta.
Il primo Altare a sinistra ha una tela che rappresenta i Santi Confessori. Il Flammeri decide di mettere i Confessori che sono tutti facilmente riconoscibili tranne uno, il primo guardando da sinistra (01) Sant’Ignazio di Antiochia, 02 San Girolamo, 03 San Gregorio Magno, 04 Sant’Ambrogio, 05 San Domenico, 06 Sant’Antonio Abate, 07 San Benedetto, 08 San Francesco di Assisi, 09 San Francesco di Paola, 10 San Bernardo, 11 Sant’Agostino; sull’architrave il fregio che reca l’iscrizione: “Qui sunt Christi carnem suam crucifixerunt” … “Quelli che sono di Cristo crocifissero la propria carne”.
Il secondo Altare a sinistra prima sede di una immagine del Sacratissimo Cuore di Gesù (dipinto scomparso e sostituito in seguito con una immagine del Sacro Cuore di scarso valore ma con una maestosa cornice in legno e oro, ora esposta nella Sacrestia) ospita ora il Crocifisso miracoloso, di buona fattura settecentesca (cartapesta leccese) ma di autore ignoto, con Croce di legno, di recente restauro; sull’architrave leggiamo il fregio: “Ut mederer contritis corde” … “Per risanare i contriti di cuore”.
Le rappresentazioni nelle nicchie e nei riquadri: le nicchie e i riquadri sono poste negli intercolumni e sopra gli Altari. Nelle nicchie in alto sono rappresentati dei Profeti e alcuni personaggi biblici. Lo stile fortemente plastico di queste figure bibliche, che emergono da finte edicole concepite come edicole votive, inserite tra colonne, architrave fregi e opulenti festoni, sono opera di Andrea Commodi, stesso autore delle pitture dell’Abside.
Vediamo Daniele, immediatemante riconoscibie per i due leoni ammansiti, inneggiante al retto insegnamento dei saggi, “fulgebunt quasi splendor firmamenti et qui ad iustitiam erudiunt multos, quasi stellæ in perpetuas” … “I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre” Daniele 12,3
e Geremia, che annuncia ai suoi persecutori l’implacabile punizione divina sopra il primo Altare in fondo a destra; vediamo il Re Salomone con una citazione dal Libro dei Proverbi sopra il secondo Altare a destra, e il Re Davide con un passo dai Salmi che allude al martirio sopra il secondo Altare a sinistra; ancora Isaia e Zaccaria intorno al primo Altare a sinistra, infine sulla controfacciata Gioele, l’unico a recare il monogramma mariano, anziché l’emblema dei gesuiti IHS, e Michea.
Accanto ai Profeti leggiamo citazioni dalle sacre scritture che contribuiscono a conferire dignità alla figura del Martire, cui spetta la ricompensa divina, ma hanno anche un chiaro intento di edificazione e di ammaestramento morale, al disotto dei riquadri sono riportate delle iscrizioni di carattere esplicativo delle scene dipinte.
Nei riquadri in basso della navata sono raffigurate diverse scene di martirio, opera del pittore Tarquinio Ligustri. Vediamo il martirio di Sant’Ignazio Vescovo, dei Santi Marcellino e Pietro, di San Pafnunzio di Tebe, di Sant’Andrea, dei Santi Vittore e Corona in Siria, di San Clemente, di San Gennaro Vescovo, dei Santi Quaranta Militi in Armenia, di San Martiniano, condottiero dell’esercito in Cilicia, e dei suoi militari, e di un Soldato ignoto di Cristo in Egitto.
Quelli che abbiamo definito riquadri altro non sono che la rappresentazione immaginaria di finestre aperte sulla muratura della Chiesa, lo notiamo dagli sguinci accennati nelle cornici. Finestre raffigurate nell’intento di portare il pensiero del fedele verso l’esterno, ma anche di trascinare il mondo all’interno del Tempio. Viene pensata una sorta di osmosi cosmica, di partecipazione tra l’io e l’universo.
Ciò che predomina nelle raffigurazioni in sostanza è il paesaggio, in una visione pacifica e indisturbata in cui si svolge ogni singola vicenda di martirio. Questa scelta rappresentativa è davvero non comune per l’epoca, perché al tempo dei Gesuiti si preferiva privilegiare rappresentazioni terrificanti di orribili tormenti. La natura inviolata qui è la scena predominante, è il teatro in cui si compie il martirio, che viene intarsiato in questa scenografia come fosse la pietra più preziosa da estrarre da questo gioiello. La visione paesaggistica è il rimando al mondo, al creato, al simbolo dell’opera tutta di Dio, che assiste allo svolgersi sereno del suo disegno. La visione dell’ambiente naturale non è nitida, tutto il contesto appare quasi enigmatico, da decifrare: un ammaestramento iconografico, che interviene in modo molto sottile a ricordarci che la nostra visione umana, stretta nella finitudite terrena, non è perfetta.[1]
Le rappresentazioni nell’abside e presbiterio: Qui sono raffigurate le scene con i quattro Martiri titolari della Chiesa: i Santi Vitale, soldato dell’esercito romano nel III sec, Valeria sua moglie e i figli Gervasio e Protasio, scene con due personaggi biblici ed infine la rappresentazione della salita al Calvario di Gesù.
In fondo alla parete laterale destra vediamo un affresco di Agostino Ciampelli che raffigura il martirio di San Vitale. La malvagità dell’azione perpretata all’interno del tempio pagano di Ravenna è qui presentata in tutta la sua allucinante crudeltà nei dettagli dell’ingombrante strumento di tortura, l’ecculeo, su cui giace il Santo spogliato delle sue vesti da soldato, l’elmo la spada e lo scudo, riposte in basso, i suoi carnefici mentre lo torturano, i funzionari dell’impero che annotano l’evento ed uno che declama la sentenza di morte, all’esterno la folla in tumulto e protesta, in fondo al centro la statua del dio Apollo.

The Martyrium of St. Vitalis fresco in Church Basilica di San Vitale by Tarquinio Ligustri (1603)

The fresco of Martyrdom of St. Vitale in Church Basilica di San Vitale by Tarquinio Ligustri (1603)
In basso a questo affresco sono poste due nicchie ai lati della porta che ospitano le statue in stucco di San Gregorio Magno[2] e di San Girolamo[3], nelle cartelle sottostanti vi sono citazioni tratte da loro opere esegetiche, che riguardano il martirio.
“Martyres tolerant scissuras vulnerum et aliis proferunt medicamenta sanitatis” … “I Martiri sopportano le aperture delle ferite e agli altri portano i medicamenti per la salvezza”. San Gregorio Magno.
“Basilicas Martyrum daemones fugiunt fortitudine et flagella S.ti Cineris non ferentes” … “I demoni fuggono dalle Basiliche dei Martiri per la loro forza non sopportando i flagelli delle loro ceneri”. San Girolamo.
In fondo alla parete laterale sinistra un altro affresco di Agostino Ciampelli raffigurante la lapidazione di San Vitale a Ravenna. E’ forse tra le sue opere il capolavoro per la chiarezza e l’equilibrio che reggono la composizione. Vi sono due scene, la più grande quella del momento della lapidazione del Santo dopo aver subito la tortura, la seconda è quella in cui si vede il sacerdote di Apollo (l’idolo affrescato nella parete opposta) che si getta disperato da un’alta roccia per il rimorso di aver istigato il giudice a condannare il Martire.
La coppia di nicchie, ai lati della porta dell’armadio delle Reliquie, ospita le due statue in stucco di Sant’Ambrogio[4], che il 7 giugno del 386 aveva ritrovato i Corpi dei Santi fratelli Gervasio e Protasio, e di Sant’Agostino[5], entrambe accompagnate da cartelle con frasi tratte dalle loro opere esegetiche, che riguardano il martirio.
“Praemium fecit religio quod perfidia putabat esse supplicium” … “La religione fece premio ciò che invece la perfidia reputava essere un supplizio”. Sant’Ambrogio.
“Quid erit cum corporis incorruptione fons vitae, quando ros eius inter tormenta tam dulcis est?” … “Che sarà la sorgente della vita con il corpo diventato immortale quando è tanto soave nei tormenti appena la sua rugiada?” Sant’Agostino.
San Paolo di Tarso nella I Lettera ai Corinzi quando dice: “Videmus nunc per speculum et in enigmate, tunc autem facie ad faciem” … “Ora vediamo le cose attraverso uno specchio, per enigmi, ma un giorno le vedremo faccia a faccia”.
Nelle pareti d’imposta dell’abside, si vedono due pitture che hanno per soggetto quella di sinistra Gedeone che vince i Madianiti (Gedeone fa rompere le lucerne per cogliere di sorpresa l’esercito nemico, è metafora del sacrificio di Cristo, fonte di luce) e quella di destra Sansone che trova il miele nella mascella del leone da lui ucciso, metafora della ricompensa riservata ai Martiri dopo il sacrificio della vita.
Il quadro dell’Altare maggiore è di autore ignoto del XVII sec e rappresenta San Vitale, soldato consolare romano, con la moglie Santa Valeria e i Santi figli anche loro vestiti da militari: Gervasio e Protasio. Una intera famiglia vocata alla santità che per mezzo del martirio si è ricongiunta a Cristo. Sottoposto a recente restauro, se ne sta studiando l’attribuzione, forse da ricondurre alla cerchia stessa del Flammeri (Francesco Da Castello ?).
Più in basso nella curva dell’abside la decollazione di San Protasio e la flagellazione di San Gervasio: il drammatico dialogo tra il pacifico sguardo dei giovani e quelle abiette e torve espressioni degli aguzzini. Pose realistiche, e delicatezza dei colori. Un pathos enorme che vede il martirio passare inosservato tra le genti cattive e la santità.
Nel catino absidale è l’affresco di Andrea Commodi con la salita di Gesù al Calvario. La rappresentazione del martirio per eccellenza. Nel racconto pittorico, che ha innegabili aspetti di vivacità, di drammaticità e di forza coloristica, l’umana sofferenza di Cristo si accende nei ritmi serrati degli episodi minori, come la mesta operazione di erezione delle Croci, che si intrecciano alle intense cromie del paesaggio e ai toni cangianti, tipici del tardo manierismo esasperato. Ben riuscito risulta l’effetto decorativo e scenografico della composizione. I colori degli abiti del Cristo e della Madonna, vestiti della terra, il rosso e ammantati di cielo, il blu. Attraenti sono pure i particolari e le espressive figure che animano la scena, veri ritratti. Ne deriva uno spirito di profonda partecipazione, proprio della spiritualità ignaziana, in cui i fedeli sono chiamati tutti ad essere presenti e partecipi al calvario ed al mistero di Gesù.

The The Ascent to Calvary fresco in main apse of Church Basilica di San Vitale by Andrea Commodi (1560 – 1648)
Il nostro occhio percepisce immediatamente alcune differenze tra l’apparato iconografico visto nella navata e questo del presbiterio: gli affreschi, frutto notevole del Manierismo toscano, non sono più scorci paesaggistici, ma scene a tutto campo, sono rappresentati come quadri o arazzi, appesi alle colonne in modo molto scenografico, mediante drappi annodati e opportunamente incorniciati; le immagini sono molto nitide, non sorgono perplessità nell’inquadramento dei soggetti e nella definizione del contenuto. Ad assistere alle scene narrate vi sono numerosi Angeli e Padri della Chiesa, i volti dei Martiri contrappongono le loro espressioni serene a quelle generalmente turbate e concitate degli altri personaggi.
Questi elementi, grazie alle differenze con l’ambito precedente, ci portano a riflettere sul loro significato e ad inquadrare lo stacco tra il pro fanum della navata e il sacrum del presbiterio.
Grazie per la vostra visita!
Un sentito ringraziamento all’Architetto Viviana Cuozzo per lo studio e il materiale condiviso.
Chi volesse conoscer un po’ di più le attività della Basilica consiglio di leggere un’interessante articolo dell’Osservatore Romano.
Chi volesse fare una offerta per tante difficoltà economiche, oppure per parteciapre all’acquisto dell’Organo in sostituzione dell’Organo rubato:
PARROCCHIA DEI SANTI VITALE E COMPAGNI MARTIRI IN FOVEA
Iban: IT94B0306905020100000062830