La Basilica dei Santi Vitale, Valeria, Gervasio e Protasio Martiri in Fovea

Storia

bhim00016918È una Basilica che trae la sua origine da un Oratorio risalente al IV secolo e dedicato ai Santi Gervasio e Protasio, Martiri di origini milanesi, figli di San Vitale, i cui corpi erano stati ritrovati da Sant’Ambrogio. Verso la fine del secolo, la pia matrona Vestina lascia tutti i suoi averi all’Oratorio, che viene ristrutturato in Basilica a tre navate e consacrato da Papa Innocenzo I nel 402 (sembra il 28 aprile) in onore di Vitale, della moglie Valeria e dei figli Gervasio e Protasio. Sacerdoti del Titulus Vestinae sottoscrivono gli atti del Sinodo romano del 499, mentre nella sottoscrizione del Sinodo del 595 compare l’appellativo Titulus Sancti Vitalis. La Basilica fu restaurata e dotata di ricchi doni da Papa Leone III (795 816), poi nuovamente in epoca medievale, e, infine, completamente rifatta dai Pontefici Sisto IV (1475) e Clemente VIII (1595): questi ultimi interventi ridussero la Chiesa ad una sola navata, al posto delle tre originarie, e portarono alla scomparsa del portico, chiuso e ridotto a vestibolo della Chiesa. Nel 1859 il Beato Papa Pio IX fece costruire la caratteristica scalinata d’accesso che è in discesa a causa dell’innalzamento del piano stradale in seguito alla costruzione di Via Nazionale. Lavori di restauro effettuati nel 1937-38 hanno infine ripristinato il portico originario.

Arte e architettura

La facciata presenta un portico, d’epoca paleocristiana, a cinque arcate su colonne con capitelli del V secolo, a cui in passato corrispondevano altre cinque arcate nella facciata, oggi murate. Il portale d’ingresso presenta una iscrizione e lo stemma di Sisto IV, nonché preziosi battenti lignei scolpiti agli inizi del XVII secolo.

L’interno è oggi ad una sola navata con abside ed è stato restaurato nel 1859, mentre sono di epoca recente (1934) il pavimento ed il soffitto ligneo. Ai lati dell’aula basilicale sono collocati quattro Altari laterali, due per lato, provenienti dalla Chiesa del V secolo.

Si accede alla Chiesa per la scalinata che scende al portico paleocri­stiano ripristinato di recente; nel muro di facciata sono state rimesse in luce le colonne del V secolo. L’interno a navata unica mostra il ciclo di pitture seicentesche, completato nel 1603. Esso costituisce un interessante esempio di pittura «controrifor­mata» del Manierismo toscano. In particolare, Andrea Commodi (1560-1638) affrescò l’abside con la scena della caduta di Gesù sotto la Croce e le scene del martirio dei Santi Gervasio e Protasio. Di Agostino Ciampelli (1577-1642) sono invece le grandi scene del martirio di San Vitale nelle pareti dell’attuale presbiterio. Lungo la navata, Tarquinio Ligustri (1563-1621) affrescò le figure dei Profeti della parte superiore e le numerose scene di martirio, inserendole in pregevoli e piacevoli paesaggi. Di P. Giovanni Battista Flammeri (1530-1606) le pale d’altare. Degli inizi del 1600 è pure la pregevole porta lignea di accesso alla Basilica. Opera di ignoto ebanista, forse Gesuita, riprende alcune scene degli affreschi interni, cui aggiunge la rappresentazione del martirio di Santa Valeria e dell’apparizione a Sant’Ignazio di Loyola in viaggio verso Roma. Pregevoli pure le figure dei Santi Sacerdoti e le teste di Angeli.

La Basilica della Riforma cattolica

La Basilica di San Vitale nella quale si entra oggi è dunque quella che nasce in seguito ai radicali restauri del XVII secolo. Restauri architettonici senza dubbio, ma preceduti e originati dal profondissimo cambiamento nella spiritualità cristiana avvenuto fra il XIV e il XVI secolo e culminato nella Riforma attuata dal Concilio di Trento.

Gli antichi Ordini monastici benedettini si presentavano alla fine del Medio Evo (XIV secolo) gravemente decaduti dalla loro elevatezza nella pietà, nella disciplina e nella scienza. Erano diventati troppo ricchi, talvolta erano ridotti a istituti di collocamento della nobiltà, erano dei sistemi di “Commenda” con proprietà privata suddivisa fra Abate e Monaci. Ad essi si erano aggiunti gli Ordini mendicanti dei Francescani e dei Domenicani, ma anche essi erano dilaniati, soprattutto i Francescani, da una lotta interna assai aspra fra rigoristi e moderati e dai contrasti con il Clero secolare che sorgevano per interessi economici e paralizzavano molte forze spirituali. Il Clero secolare si presentava poi scarsamente preparato, assai interessato e piuttosto libertino nei costumi.

Nel XV secolo emerge allora spontaneamente nel popolo cristiano un grande numero di “predicatori di penitenza”, che hanno una forte presa popolare. Nasce la “Compagnia dei fratelli della vita comune”, che elabora forme proprie di pietà laicale. Pietà personale autentica, ascesi personale profonda e attività di carità: i fondamenti della cosiddetta “Devotio moderna”, che unisce vita di perfezione cristiana e servizio del prossimo. Si afferma una nuova spiritualità cristiana: essere santi nell’esercizio missionario della carità. E’ un vero punto di svolta e di cambiamento nella spiritualità cristiana moderna, che vede nascere in gran numero le Confraternite. Non sono più organizzazioni di Clero, ma aggregazioni di laici che vogliono santificarsi nell’esercizio della pietà cristiana verso i poveri, i malati, i carcerati, i moribondi, gli appestati, i condannati a morte … . Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) si appropria nella sua conversione del concetto di “Militia cristiana”. Quella che pensa come via di perfezione per il suo gruppo di seguaci è una vita “militante” sotto il vessillo di Dio (che è la Croce). Il servizio del prossimo, l’attività caritativa e missionaria diventano il contrassegno dell’Ordine dei Gesuiti. E se l’apostolato e la missione in una terra pagana chiede il sacrificio supremo della vita, esso è dovuto, fino alla fine.

Questo è, in breve e per somme linee, il contesto culturale e spirituale nel quale i Gesuiti ricevettero nel novembre 1595 da Papa Clemente VIII l’antica Basilica dei Santi Vitale, Valeria, Gervasio e Protasio, che reggeranno fino al 1880. I Gesuiti affidarono la direzione della decorazione interna ad un loro confratello: Giovanni Battista Flammeri, che ideò decorazioni, pitture e quadri in un sistema teologico e catechetico originale: una vera “paideia” per immagini! In tutte le scritte sui dipinti e sugli architravi è facile ravvisare un intento di edificazione e di ammaestramento morale. E’ palese il tentativo ad ammaestrare i fedeli con l’esempio delle virtù dei Martiri per ammirare, amare e lodare Dio. Essere cristiani è militare dalla parte di Dio, con forza e con coraggio, anche a costo delle difficoltà più gravi per la propria vita. Quelle difficoltà, dovessero anche culminare nella morte, diventano cariche di dolcezza per chi le vive, come recita la citazione biblica nel quadro della parete del presbiterio: nelle fauci dei leoni, i Martiri trovano il miele!

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